Le mie letture: spezzatino notturno.
In un passaggio televisivo di egregia fattura, ho rivisto Carlo Fruttero dichiarare e declamare, tra una sigaretta e l’altra, magari di nascosto della moglie o della figlia, la storia della sua vita e delle sue opere. Carlo Fruttero è la mia ossessione ( da ultimo “Mutandine di chiffon”; pensate non mai riesco a finire di leggere il libro a quattro mani con Lucentini “A che punto è la notte”; lo leggo e poi lo abbandono a tre quarti; inizio a rileggerlo daccapo e poi lo abbandono nuovamente, quasi come un amore non convinto con appuntamenti mancati che si rinnovano all’infinito, purtroppo nella difficoltà di lettura di un pensiero anche criptico. Il prete don Pezza nella chiesa di Santa Reparata, con la teoria dello “pneuma” ed il castello di tubi all’interno della casa di Dio. Poi i vari personaggi, affaticati, problematici e sofferenti. Fruttero in quell’intervista ha affermato- e mi sono commosso- che per lui la lettura è come lo “zapping televisivo” o giù di lì. Prende, legge, lascia, riprende, questo o quel libro, quel romanzo, quel saggio; sicuramente questo non per la Poesia, che si brucia in attimi lirici e riflessivi, che con concedono pause o abbandoni repentini. Per me, vorace lettore, è la stessa cosa. Per me, ormai costretto a notturne divagazioni, in prigionia del letto, per poi evadere prima dell’alba, la lettura è uno spezzatino. Mi spiego, calma, non parliamo di culinaria. Compro libri in quantità perché, ormai, la lettura è una droga da consumare di notte e nei piacevoli pomeriggi di quel letto che, con la notte, guadagno con piacere, come una liberazione al contrario. L’appuntamento della lettura è come un randez-vous con un amico che non ha mai lasciato e di cui non ti sei dimenticato. Mio fratello è stata una figura di importanza determinante per la mia modesta cultura e per l’incitazione a leggere. Lui che leggeva di tutto, voracemente e mi sollecitava; per questo lo ringrazio, sperando che mi senta dall’aldilà. Cominciò, dopo lo studio e le letture classiche, tragedie e commedie greche e latine, fino ad affrontare le opere di Freud che io assumevo dopo di lui, con una strana curiosità che mi ha segnato per tutta la vita. Poi e nello stesso tempo, gli autori russi, americani, francesi, spagnoli…, fino all’incredibile lettura di un altrettanto incredibile racconto “Il bevitore di vino di palma”, frase ripetuta all’infinito di quel narratore, Amos Tutuola, che raccontava del suo popolo, gli Yoruba. Fu un esercizio masochistico oltre misura per dare il segno non solo a noi stessi di quella voracità e curiosità amplificata nel tempo. Poi le raccolte dei “rilegati verdi” della collana Edizioni Medusa ed i gialli di grandi fattura. Tutto e di tutto insomma, in una misura esagerata. Oggi, mi trovo di notte a leggere tutti i “moderni”, prediligendo gli autori italiani perché scrivono nella mia lingua; e questa è un’altra storia: le traduzioni di autori stranieri sicuramente falsificano il significato non solo delle semplici parole, ma gli idiomi, il circolo del pensiero e del racconto, le intime motivazioni della scrittura ed i derivati sentimenti di spontanee risate notturne. La mia camera e le altre stanze, di cui ho la disposizione forzata contro i miei familiari che sopportano a malapena le improvvise incursioni di depositi, compresa la il vecchio tetto della casa di Mosciano che mi attende con nostalgica passione, è piena di libri, chiusi, aperti, letti, letti a metà, interrotti, riletti, qualche volta buttati all’aria con un atto irriverente per l’autore ma di liberazione per me quando scopro di avere preso una bufala. Non è rabbia, ma dispiacere per l’autore e per chi ha il coraggio di pubblicare libri e romanzi orrendi. Ma il mio amore è per Piero Chiara con i suoi racconti e per Camilleri.
Andrea Camilleri, croce e delizia, per le sue repentine ristampe con copertine diverse; quante fregature ho preso, perché distratto e ormai prigioniero della sclerosi da ricordo, e perché ho acquistato di tutto dell’autore, doppioni di libri già letti.
Oggi ho piacere di leggere gli emergenti non dimenticando di ripetere il “rispolvero” dei classici che Andrea De Carlo ha definito “pietrificati dal tempo” (ma non credo sia stata la sua intenzione finale, considerato che i capolavori non si fossilizzano mai ma sono sempre vivi ed attuali). Ho letto in una notte “Lei e Lui” di Ammanniti ed adesso sono alle prese con il grande Andrea De Carlo “Ioelei”, romanzo dove la scrittura ed il pensiero sono formidabili esercizi introspettivi di un amore difficile. Poi, con grande gusto, gli altri, molti dei quali assimilati al mio pensiero di storie “paesane ed ironiche”. Ma per me è difficile fare un elenco esaustivo, nel quale vanno ricompresi tutti da Umberto Eco ad Andrea Vitali, dato il vortice che mi trascina in questo frangente finale della mia vita e mi terrà sempre sospeso fino alla fine di questo spezzatino notturno, come mio padre che morì con “L’Eneide” in mano.
GIUSEPPE MASSI.
Pubblicato su "La Piazza" n.3 febb.2011, pag. Edito dall'Associazione "La Locomotiva" Mosciano Sant'Angelo.
domenica 20 febbraio 2011
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